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Te decet laus in MEL
Te decet laus
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 Philippe Bernard La dialectique entre l'hymnodie et la psalmodie, des origines à la fin du VIe siècle: bilan des connaissances et essai d'interprétation RIMus 26, 1 (2005) 11-163

Abstract

Lo studio, che riguarda largamente l'antichità patristica, ... Leggi tutto
Lo studio, che riguarda largamente l'antichità patristica, presenta molte osservazioni importanti per comprendere l'innodia tardoantica e medievale. Ripercorrendo le posizioni di J. Kroll (Die christliche Hymnodik bis zu Klemens von Alexandreia Braunsberg 1921) e B. Fischer (Die Psalmenfrömmigkeit der Märtyrerkirche Freiburg i.Br. 1949) l'A. individua tre fasi. Un primo periodo è quello del quale abbiamo tracce già neotestamentarie, e che si spinge sino all'epoca pre-costantiniana. Nella seconda fase, incentrata sulle grandi polemiche cristologiche del IV secolo, gli inni hanno funzione polemica, mentre nel VI, cessata tale funzione, entrano nei testi dell'Ufficio e si vengono a costituire, sia a Oriente sia a Occidente, repertori di base stabili. L'A. stabilisce una definizione di «inno» come testo inteso per l'esecuzione cantata, escludendo quindi gli «inni» di carattere solo letterario. La prima parte dello studio («L'hymnodie en l'honneur du Kyrios Jésus aux trois premiers siècles») muove dall'esame dei frammenti innici del Nuovo Testamento ed esamina le testimonianze di inni di epoca patristica perduti. Gli inni più antichi sono: (1) la Grande Dossologia (Gloria in excelsis), attestata sia in Oriente sia in Occidente, della quale si descrive l'uso liturgico; (2) il Soi prépei ainos (Te decet laus, te decet hymnus) che la Regula Benedicti utilizza come post Evangelium ai Mattutini domenicali; (3) il Phôs hilaron, già considerato antico nel IV secolo e destinato al lucernario. La seconda parte dello studio esamina il ruolo svolto dall'innodia nella polemiche tra cristiani, soprattutto nei secoli IV-V. Si esamina fra l'altro l'attività di Fulgenzio di Ruspe (? 533) che imita Agostino con il suo Psalmus contra Vandalos Arrianos. Esiliato dalla Spagna da parte del potere politico ariano, Fulgenzio compone questo inno a sostegno della fede nicea: difficile immaginare un uso liturgico di un inno del genere dato l'atteggiamento fortemente repressivo dei Visigoti ariani contro i cattolici. Questa parte dello studio si conclude con l'esame della questione del Sicut erat, una clausula aggiunta al Gloria patri in funzione antiariana e attestata per la prima volta al concilio provenzale di Vaison nel 529. La terza sezione esamina il crearsi di un repertorio innologico stabile. Dopo aver esaminato i testi antichi e le fonti della liturgia e della musica greca in merito all'innodia, l'A. richiama l'attenzione sulla creazione, al più tardi nella prima metà del VI secolo, di un repertorio di inni fondato essenzialmente sui 14 inni ambrosiani (autentici o di imitazione). Il più antico testimone di questa raccolta è la Regula benedettina; si tratta verisimilmente di un'iniziativa dello stesso Benedetto, considerato che l'Ufficio romano ignora gli inni fino al sec. XII. Probabilmente Benedetto usa la denominazione Ambrosianum per riferirsi ai veri inni ambrosiani e hymnum per indicare inni non riferibili direttamente all'autorità del vescovo di Milano. La diffusione della raccolta di inni dipende naturalmente dalla diffusione della regola benedettina che, come è noto, fu contrastata ancora in epoca carolingia. Tuttavia anche altre regole, come quella di Cesario e di Aureliano, ma non la Regula Magistri, conoscono l'uso liturgico dell'innodia. Il sistema «arlesiano» conosce 12 inni, dei quali 3 certamente ambrosiani. È probabilmente attraverso questa mediazione che il sistema degli inni giunge in Inghilterra e a Beda; d'altronde è noto che la liturgia inglese ricevette presto una notevole influenza gallicana. In Francia si diffusero anche opere di Sedulio, soprattutto l'inno A solis ortus cardine, che venne diviso in più sezioni per adattarlo a uso liturgico. Secondo Gregorio di Tours, Chilperico re di Neustria (? 584), compose un inno imitando Sedulio; ma influenza ancora maggiore ebbe l'innodia di Venanzio Fortunato (? dopo il 600). Soprattutto i suoi inni in onore della Croce ebbero fortuna liturgica, in particolare in Gallia. Altro testimone importante dell'uso degli inni è il IV concilio di Toledo (633), presieduto da Isidoro di Siviglia, che scomunica chi rifiuta di usare gli inni nella liturgia. In questa stabilizzazione liturgica va considerato anche il ruolo del Gloria in excelsis, evidentemente considerato a Roma un cantico e non un inno, che passa dalla vigilia di Pasqua a Pasqua e poi si estende alle domeniche. In conclusione, circa il rapporto tra salmodia e inni si possono evidenziare alcuni aspetti. Nel culto giudaico-ellenistico i salmi non avevano un'importanza centrale, come invece accade nel culto cristiano; ciò si spiega per il ruolo profetico attribuito al Salterio, già nel Nuovo Testamento, per l'influenza liturgica del mondo monastico, nel quale il Salterio conosce subito uso continuo e intenso, e per la funzione etica ed educativa dei salmi: anche se fondati sull'autorità ambrosiana, gli inni non potevano certamente godere della stessa autorevolezza dei salmi quando si trattava di migliorare i costumi generali e infine di cristianizzare l'intera società.
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Scheda N: 30 - 6665

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