Attraverso l'analisi di alcuni casi specifici, l'A. indaga il transito di libri e di testi tra l'Oriente bizantino e l'Occidente latino. Un primo esempio è il caso del codice Paris, BNF, gr. 437, contenente le opere dello pseudo Dionigi e portato in dono a Ludovico il Pio dagli ambasciatori di Michele II il Balbo nell'827; il manoscritto fu alla base delle traduzioni di Ilduino e Giovanni Scoto. Nel 1408 un secondo testimone dello pseudo Dionigi, il ms. Paris, Musée du Louvre, Département des Objets d'Art, MR 416, fu portato all'abbazia di St.-Denis da Costantinopoli da Emanuele Crisolora, come dono da parte di Manuele II Paleologo. Si illustrano i dati che portano a ipotizzare la produzione e circolazione di manoscritti greci tra Ravenna, Roma e Napoli nella tarda Antichità: a questi contesti sono stati attribuiti in maniera controversa i codici Napoli, BN, gr. 1 (Dioscoride) e Milano, Ambrosiana, L 99 sup. (
fragmentum mathematicum Bobiense). L'A. individua la diffusione a Roma di elementi greci a partire dal VII secolo, culminata nell'VIII sul versante storico con la successione di papi di lingua greca, e sul versante testuale con la traduzione dei
Dialogi di Gregorio Magno fatta eseguire da papa Zaccaria, che determinò la fortuna del testo a Bisanzio (si citano due esemplari della traduzione: Milano, Bibl. Ambrosiana, D 69 sup. e Vat. gr. 1666). Alcuni manoscritti testimoniano l'afflusso di materiale librario greco dalle sponde del Mediterraneo meridionale: tra tutti, si ricordano il Vat. gr. 1288 (Cassio Dione), allestito in Palestina; il «Codex purpureus Rossanensis», forse copiato ad Antiochia nel VI secolo e il Milano, Ambrosiana, F 205 inf. (
Ilias picta), confezionato ad Alessandria tra V e VI secolo. Seguono la rassegna di alcuni codici palinsesti in greco prodotti nel monastero del Santissimo Salvatore
de lingua phari [Messina], fondato nel XII secolo, e la descrizione di due celebri testimoni biblici transitati nell'Italia meridionale già in epoca alta: il «Codex Marchalianus» (Vat. gr. 2125) e il «Codex Vaticanus» (Vat. gr. 1209). Si indagano infine alcuni aspetti codicologici e paleografici italo-greci ascrivibili all'esito delle trasmigrazioni di tecniche, motivi e competenze dalle province orientali (apertura di fascicolo col lato pelo; tipologia fascicolare del quinione; elementi decorativi inerenti alla segnatura dei fascicoli, alle maiuscole e ai colofoni; segni grafici di varia natura), e si analizzano le tradizioni miste di alcuni testi, agiografici - la
recensio italo-greca della
Passio sanctae Aecatherinae - e patristici - si ricordano Basilio Magno e Gregorio di Nazianzo, e le traduzioni in latino di Pelagio I e del suddiacono Giovanni degli
Apophtegmata patrum. Si segnala che alcuni frammenti della traduzione Pelagiana sono conservati nella
scriptio inferior del palinsesto Grottaferrata, Bibl. del Monumento Nazionale, A.delta.IV (a) (gr. 95). La parte finale dello studio prende in esame una famiglia della tradizione di Terenzio nota come
recensio Calliopiana, il cui capostipite andrebbe collocato in un esemplare illustrato di provenienza orientale; il sontuoso corredo decorativo dell'antenato perduto, affine a quello del «salterio Chludov», si riverbera nei mss. carolingi Vat. lat. 3868 (e nella copia del X/XI sec. Arch. Cap. S. Petri H 19); Paris, BNF, lat. 7899 e lat. 7900; Lyon, BM, 788. Alle pp. 489-90 segue la discussione sull'intervento. (Matteo Salaroli)
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