Sin dall'Antichità quella della lotta del santo contro il drago, evoluzione di quella col serpente, è una metafora molto frequentata negli scritti agiografici e più in generale cristiani, avendo come base il modello biblico. L'A. ripercorre i testi più significativi che testimoniano l'uso e l'evoluzione di questa immagine: gli
Actus Silvestri papae, l'
Historia Francorum di Gregorio di Tours (che ricorda la genesi della prassi liturgica con drago processionale, nata dopo la sconfitta miracolosa di una pandemia per merito dell'arcangelo Michele), i
Dialogi di Gregorio Magno. La figura di Michele, strettamente legata all'immagine del drago, è connessa nel primo medioevo con i culti delle fonti idriche che in precedenza erano votati a divinità pagane (soprattutto femminili) e che la chiesa considerava importanti anche a livello di definizione territoriale e di compartecipazione al potere pubblico. Oggetto di venerazione particolare, il carattere «idrico» e «salutare» della devozione per Michele si sviluppa in età carolingia legando indissolubilmente l'arcangelo all'iconografia del mostro domato, grazie al tramite della purificazione dal veleno, del quale un esempio emblematico è offerto dall'omelia 93 di Beda. Nel delicato equilibrio politico della divisione dei poteri, inoltre, il drago assume connotazioni metaforiche, nuove e arcaiche nello stesso tempo: queste emergono con forza nell'agiografia di Farfa, veicolo dei culti del ducato longobardo di Spoleto, della Sabina e del territorio attraversato dalla via Salaria, tanto che il motivo del drago viene utilizzato anche nel mito di fondazione creato da Gregorio da Catino nel
Chronicon Farfense, con il quale l'immagine teratologica è investita di un significato completamente diverso rispetto all'originario. Gli esempi delle Passioni di Vittoria e Anatolia e del siro Mauro sono significative testimonianze di questa trasformazione e portano l'A. a trattare dell'uso del drago nei racconti di bonifica e popolamento di zone paludose e inabitate, simboli dello sviluppo o della rinascita della circolazione fluviale e marittima, che delineano una vera «geografia draconica» nella penisola italica sino al pieno medioevo (XI e XII secolo): si ricordano in particolare le narrazioni su Fruttuoso di Tarragona (i cui compagni giungono in Liguria) e sul ligure Venerio (traslato a Luni e a Reggio Emilia). Numerosi sono gli esempi, anche orientali, di sauromachia disseminati nella penisola italica: i santi Giusto e Clemente (la Vita è redatta dal monaco Blideranno), san Senzia di Blera, l'eremita Mamiliano di Montecristo (già Montegiove), il ligure Eugenio, papa Leone IV, il vescovo Siro, i santi Paride di Teano e Barbato di Benevento, i vescovi emiliani Mercuriale e Ruffillo, Leucio di Brindisi, Donato di Arezzo, Crescentino (o Crescenziano) di Città di Castello, Giulio e/o Giuliano di Novara, e santi «di importazione» come il pellegrino Verano di Cavaillon e Ilario di Poitiers. L'esame continua con gli esempi di santità che si sono evoluti in senso «cavalleresco» nel XII secolo a motivo delle spedizioni militari in Oriente: è il caso molto noto di san Giorgio, ma anche di Guglielmo Magno di Malavalle. Con questo santo si apre la discussione sui santuari posti a guardia delle zone liminari con funzione apotropaica, collegati con le consuetudini liturgiche delle rogazioni e delle litanie, che la tradizione riconosce come creazioni di Gregorio Magno. Lo studio si conclude con un excursus su tali celebrazioni, evocate da Gregorio di Tours (
Historiae), Giovanni Beleth (
Rationale divinorum officiorum) e Iacopo da Varazze (
Legenda aurea), nonché nell'Ordinario della chiesa di Padova. (Marianna Cerno)
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