L'A. esamina la tradizione manoscritta delle opere di Prospero d'Aquitania - tra le fonti più citate dai polemisti carolingi accanto ad Agostino - ricostruendo la loro diffusione materiale e il loro impatto nella controversia sulla predestinazione. Il
Carmen de ingratis e il
Carmen de providentia Dei non compaiono in nessun testimone antico conservato, ma entrambe le opere sono citate alla fine del
De praedestinatione Dei et libero arbitrio di Incmaro di Reims, e figurano nell'inventario-testamento di Mannone di Saint-Oyen; ciò consente di postulare l'esistenza di almeno due manoscritti contenenti tali carmi nel IX secolo, e di ipotizzare un asse di trasmissione Lione-Reims. L'A. segnala inoltre l'esistenza di una copia dell'
Epitaphium haereseon Pelagianae et Nestorianae all'interno del ms. Paris, BNF, lat. 2832, manoscritto originario di Lione e copiato da Mannone stesso, probabilmente dallo stesso modello contenente gli altri due carmina. La tradizione carolingia del
De gratia Dei et libero arbitrio contra Collatorem deriverebbe interamente da un manoscritto confezionato a Vivarium, comune antenato dei testimoni più antichi: Wien, ÖNB, 397 (Reichenau, ca. 840); Paris, BNF, lat. 12098 (Corbie, ca. 840-850) e Leiden, BU, B.P.L. 85 (terzo quarto del IX sec.). L'A. evidenzia inoltre la presenza di due codici perduti: l'antigrafo del Leidense, gemello del parigino, e la copia usata da Incmaro per gli estratti citati nella
Dissertatio, probabilmente localizzabile a Reims. Del
De vocatione omnium gentium si conservano solo tre testimoni carolingi, copiati nella prima metà del IX secolo e appartenenti ad una medesima famiglia testuale: Vat. Pal. lat. 236; Wolfenbüttel, HAB, Gud. lat. 17 (entrambi conservati a Lorsch) e Laon, BM, 122, identico per contenuto al ms. di Wolfenbüttel. Attraverso l'analisi filologica degli
excerpta tramandati indirettamente da Ratramno (
De praedestinatione) e Incmaro (
De praedestinatione), che contengono varianti non compatibili con la tradizione conservata, l'A. arriva a ipotizzare l'esistenza di un modello perduto, probabilmente localizzato a Corbie. Studia più dettagliatamente il codice di Laon, che reca segni di
excerptio nei margini incompatibili con le selezioni di Incmaro o Ratramno, e dunque non riconducibili al loro operato. In seguito, l'A. segnala e esamina i manoscritti identificati del IX secolo contenenti l'
Epistola ad Rufinum e le tre
Responsiones pro Augustino, le opere di Prospero che contano il maggior numero di testimoni. Oltre a un codice che trasmette solo le
Responsiones ad excerpta Genuensium (Paris, BNF, lat. 1682) e a due codici contenenti le sole
Responsiones ad capitula obiectionum Vincentianarum (Vat. lat. 296; Orléans, BM, 191), si evidenzia, in particolare, un gruppo di manoscritti che tramandano tutti e quattro i testi in blocco - Sankt Gallen, Stiftsbibl., 29; Wien, ÖNB, lat. 752; Köln, Erzbischöfliche Diözesan- und Dombibl., 79; Würzburg, UB, M.p.th.o. 4; Boulogne-sur-Mer, BM, 48. In relazione a questo insieme, L'A. ipotizza l'esistenza di un florilegio perduto creato e diffuso da Prudenzio di Troyes (come egli sembrerebbe suggerire in un passo del
De praedestinatione), e sottolinea un indizio filologico che sembra dimostrare l'esistenza di un antenato comune al gruppo di codici: una nota - marginale nei mss. di San Gallo e Boulogne-sur-Mer, incorporata nel testo in quelli di Köln e Würzburg - legata all'interpretazione di I Tim 2, 4, versetto cardine nella questione sulla volontà salvifica di Dio. In appendice l'A. fornisce un elenco dei manoscritti più antichi delle opere di Prospero sulla grazia, con una descrizione sintetica e l'indicazione della bibliografia aggiornata; oltre ai testimoni già citati, l'elenco comprende anche Basel, Staatsarchiv Basel-Stadt, Klosterarchiv Kartaus Fragm. II L 22; Paris, BNF, lat. 565, ff. 55-62 (unito in origine ad Orléans, BM, 191) e Wolfenbüttel, HAB, Gud. lat. 112. (Matteo Salaroli)
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