L'A. propone uno studio complessivo sulla figura di Andrea Alciato, giurista milanese dotato di ampi e articolati interessi per la cultura classica. Il volume I riguarda la genesi, l'elaborazione e i contenuti dei
Rerum patriae libri, una storia di Milano dalle origini all'epoca dell'imperatore Valentiniano, testimonianza da un lato dei suoi studi epigrafici, antiquari e storico-giuridici, dall'altro della sua esplicita volontà di porsi come storico del ducato di Milano sotto la dominazione di Carlo V. L'originale sopravvive ripartito in tre diversi codici miscellanei, cui l'A. fornisce la descrizione: il ms. Vat. lat. 6216, ai ff. 1-24, tramanda i libri I-II (con l'eccezione dell'ultimo foglio, conservato nel Vat. lat. 6217, f. 273; citato erroneamente sul frontespizio come 6271), mentre il ms. Vat. lat. 7071, ai ff. 9r-29r, i libri III-IV. Dall'originale fu tratta una copia (ms. Milano, Ambrosiana, A 136 inf.), impiegata per allestire l'edizione stampata a Milano nel 1625 per le cure di G.B. Bidelli. Nel primo capitolo si indaga sulla datazione, confutando l'ipotesi di D. Bianchi (in
L'opera letteraria e storica di Andrea Alciato «Archivio storico lombardo» 20, 1913, pp. 5-130), secondo cui avrebbe redatto l'opera nell'adolescenza, non oltre il 1508. L'A. propone invece di collocarne la redazione dopo il rientro in Italia dell'Alciato nel 1533, basandosi sulla vicinanza o sulla divergenza delle interpretazioni delle numerose epigrafi contenute nei libri II-IV rispetto a quelle proposte nelle diverse fasi redazionali della Silloge dresdense, la raccolta epigrafica definitiva dell'Alciato (contenuta nel ms. Dresden, Sächsische Landesbibl., F 82 b), cui l'A. fornisce un'accurata ricostruzione (partendo dall'analisi delle diverse mani intervenute sul codice), esaminandone anche le corrispondenze con la prima silloge dell'autore, la Trotti (contenuta nel ms. autografo Milano, Bibl. Ambrosiana, Trotti, 353). Il lib. I, riguardante la Milano pre-romana (e dunque privo di epigrafi), è comunque riconducibile alla maturità, per l'esplicita polemica anti-francese, estranea alla produzione giovanile. Si esaminano poi altre opere storiche dell'Alciato a vario modo legate ai
Rerum patriae libri: un perduto
De antiquitate Insubriae et origine Mediolani, segnalato da F. Argelati (
Bibliotheca scriptorum Mediolanensium I 2 Milano 1745 pp. 25-6 nr. LIX), e da considerare, secondo l'A., un opuscolo sull'Insubria pre-gallica, redatto per smentire il suo passato atteggiamento filo-francese e confluito poi nel I libro. La
Patriae historia, menzionata nella
praefatio alla Silloge dresdense, andrebbe identificata, sempre secondo l'A., con i libri I-II dei
Rerum patriae, che potrebbero aver costituito un'opera a sé stante e aver avuto una circolazione autonoma. Nell'opera storica confluiscono poi notizie sulla basilica di San Lorenzo e sull'attività politica di S. Eustorgio sotto Costantino, riprese con lievi modifiche dal
De templo divi Eustorgii, de tribus Magis, de divo Petro martyre, de Porta Ticinensi, de templo divi Laurentii (conservato autografo nel ms. Vat. lat. 6217, ff. 269 e 269-72). Il secondo capitolo riguarda le analisi dell'Alciato sul diritto pubblico romano a Milano. Nei libri I-II il giurista sottolinea l'autonomia amministrativa della città nella prima fase del dominio di Roma, e poi, considerando l'epoca in cui la Transpadana divenne provincia, esamina (servendosi delle epigrafi e del
Digesto) i compiti giudiziari delle magistrature istituite dall'urbe, ossia i proconsoli e il governatore provinciale. Nel III libro si sofferma sulla riorganizzazione amministrativa avviata sotto Adriano, che rese la Transpadana soggetta a uno dei quattro consolari, nati per soppiantare gran parte delle magistrature locali, e poi sul riordino dello stato voluto da Diocleziano, che ridusse l'Italia a provincia, rendendola parte della
Praefectura Italiae, e infine sulla centralità del ruolo di Milano nella politica amministrativa dell'imperatore. L'A. ripercorre poi le analisi sulle varie cariche pubbliche della città (affermatesi dall'epoca di Cesare fino ad Adriano), erroneamente convinto che le magistrature fossero ricoperte da
decuriones. L'Alciato, basandosi sull'interpretazione delle epigrafi, analizza compiti e funzioni delle varie cariche municipali ritenute preposte all'amministrazione della giustizia: i
duoviri, che fa coincidere con gli Augustali e cui attribuisce anche lo
ius gladii, i
sesviri addetti alle cause ordinarie, i
quattuorviri a quelle in appello e i treviri responsabili delle carceri. Per l'Alciato anche
curatores e
decemprimi ricoprivano una magistratura, gli uni identificati con i fornitori di olio e frumento, gli altri incaricati di amministrare i fondi vettigali. L'A. esamina poi le osservazioni sui compiti dei tre
collegia della
plebs (ossia
fabrum,
centonariorum e
dendrophorum), nati per riunire a sé vari mestieri ed esenti da funzioni militari. L'Alciato identifica poi i
defensores civitatum con i
syndaci, inviati dai proconsoli e incaricati di compiti analoghi a quelli dei duoviri. Ampio spazio è riservato anche al cristianesimo, ricostruendone i rapporti con l'impero e la precoce diffusione a Milano sotto Claudio. L'Alciato ripercorre nel dettaglio le vicende dei primi secoli dell'episcopato (dalla predicazione del vescovo Barnaba fino al conflitto fra ariani e cattolici con Dionisio e Aussenzio), e le persecuzioni di Massimiano, sottolineando la condotta integerrima del clero durante l'impero, contrapposto polemicamente a quello contemporaneo. Marginale è invece l'interesse sui governi cui Milano si trovò soggetta; su Etruschi e Galli le informazioni sono sintetiche e fanno da sfondo alle vicende della città, mentre quelle sul governo di Roma sono più ampie, ma vengono fornite solo quando hanno a che fare direttamente con la storia di Milano; in genere si limita a menzionare i riferimenti cronologici a consoli e imperatori per datare gli eventi della storia milanese. Il giurista rivela comunque una conoscenza approfondita dell'esercito romano, e del funzionamento del senato, come si evince anche dal
De magistratibus civilibusque et militaribus officiis. Esaminando il periodo in cui Milano fu capitale, l'Alciato, servendosi soprattutto della
Notitia dignitatum Orientis et Occidentis, del
Codex Iustinianus e di Ammiano Marcellino, esamina i compiti degli uffici pubblici dell'amministrazione centrale (in particolare i
comites sacrarum largitionum e
rerum privatarum, il
magister offciorum), e indaga sulle procedure giurisdizionali dell'imperatore. Nell'analisi della legislazione romana l'Alciato in genere si limita alle delibere del senato romano relative a Milano e al suo territorio e alle leggi promulgate dalla città nel periodo in cui è capitale, ma riserva tuttavia ampio spazio a editti e rescritti sul rapporto dei cristiani coi pagani prima, e con gli ariani poi. L'Alciato si interessa anche di diritto processuale, ricostruendo nel dettaglio l'intero
iter di alcuni processi, soffermandosi in particolare su alcune vicende giudiziarie con scarso rispetto delle normative e riflesso della corruzione della giustizia all'epoca di Costanzo II. Corredano il volume due ampie appendici; la prima (pp. 297-375) è un dettagliato riassunto dell'intera opera suddiviso in paragrafi e con le indicazioni dell'ampio numero di fonti di volta in volta impiegate; si segnalano in particolare Polibio, Strabone, Livio, Plinio (N
aturalis historia), Tacito (
Historiae) l'
Historia Augusta, Amminano Marcellino, Galvano Fiamma (
Manipulus florum), Tristano Calco (
Historiae patriae libri) e Giorgio Merula (
Antiquitates Vicecomitum). La seconda (pp. 377-515) è costituita da schede in cui si confrontano passi dei
Rerum patriae libri con quelli che si ritrovano simili nei commenti alle epigrafi proposti nelle sillogi (Dresdense e Trotti), nel
De templo divi Eustorgii, De tribus Magis, De divo Petro martyre, De Porta Ticinensi, De templo divi Laurentii e nel
De verborum significatione. Il volume II indaga sulla cultura storico-filologica e sulle vicende accademiche dell'Alciato esaminando il ricco scambio epistolare con Bonifaz Amerbach (e di quest'ultimo con altri dotti del tempo). Il primo capitolo riguarda i metodi dell'insegnamento universitario dell'Alciato. Ad Avignone, pur attenendosi alla didattica e ai programmi tradizionali, fondati sulla lettura ed esegesi del
Corpus iuris civilis, si permise di commentare il
De verborum significatione, generalmente escluso dalle lezioni. A Bourges, tra 1529-1530, il giurista adottò un metodo didattico fondato su criteri di semplicità e chiarezza, senza dilungarsi troppo sui commentari dei contemporanei, e impiegando un latino puro non corrotto da barbarismi; i contenuti delle sue lezioni, sia in Italia che in Francia, riguardavano sostanzialmente le due parti dell'
Infortiatum e del
Digestum novum. Nel secondo capitolo, l'A. ricostruisce le vicende che determinarono i trasferimenti del giurista da una sede universitaria ad un'altra. Considerata l'impossibilità di insegnare a Pavia per le vicende bellico-politiche del ducato di Milano all'epoca della prima restaurazione sforzesca, l'Alciato assunse un incarico ad Avignone nel 1518, dietro l'interessamento del governo francese, pur ambendo, nonostante i successi accademici, ad ottenere una cattedra in Italia, soprattutto durante l'epidemia di peste del 1521 e la conseguente crisi economica. Il rientro a Milano nel 1522 non coincise però con la stabilizzazione all'università, perché l'Alciato fu constretto a seguire delicate questioni patrimoniali nel clima di instabilità politica del ducato. Nel 1528 l'Alciato scelse di ritornare ad Avignone, riottenendo l'incarico ad un compenso molto vantaggioso, e poi nel 1529 accettò la chiamata a Bourges (all'epoca interessato a promuovere lo studio delle lingue classiche), dove riuscì ad affermarsi grazie anche al notevole seguito fra gli allievi. Accettò poi, nonostante qualche indecisione, di rientrare in Italia nel 1533, ottenendo la cattedra a Pavia con un salario analogo a quello francese. All'entusiasmo iniziale seguì una certa scontentezza, motivata dal difficile rapporto con gli studenti e dal timore di nuove ostilità alla morte di Francesco II Sforza, che lo spinse al trasferimento a Bologna nel 1537, ove rimase fino al 1541. Fu poi costretto malvolentieri a ritornare all'insegnamento a Pavia per un breve periodo, e poi, al collasso fianziario del ducato, dal 1542 al 1546 si trasferì a Ferrara, grazie all'interessamento di Ercole II d'Este, dove risiedette tanto volentieri da declinare l'offerta di una cattedra a Padova. Dovette ritornare a Pavia nel 1546, dove rimase fino alla morte, avvenuta nel 1550. L'A. fornisce poi anche informazioni sulle esequie e sulle disposizioni testamentarie. Nel terzo capitolo si indaga sulla formazione storico-filologica dell'Alciato, acquisita frequentando le lezioni di Aulo Giano Parrasio e il circolo culturale milanese che ebbe accesso ai preziosi volumi lasciati da Giorgio Merula. L'A. segnala (alle pp. 668-74) gli intellettuali a vario modo legati all'Alciato. Resta da esplorare il debito contratto col Parrasio e con il clima culturale milanese nelle opere filologico-giuridiche (ad esempio nei
Paradoxa e nelle
Dispunctiones), e con Giason Del Maino in alcune interpretazioni innovative del
Corpus iuris civilis fornite nelle
Annotationes in tres Posteriores Codicis. Si precisa poi l'interesse per i testi agrimensori raccolti nella perduta Silloge gromatica bobbiense (cui si ricostruiscono i contenuti alle pp. 712-7 e il loro impiego nelle opere dell'Alciato e di altri dotti). L'ampio interesse del giurista per il restauro e il commento del diritto giustinianeo è confermato dalla ricerca e dall'uso di alcuni manoscritti, ossia uno perduto del Digesto, due del
Codex Theodosianus (entrambi perduti, l'uno appartenuto alla cattedrale di Metz, l'altro al monastero di Murbach), uno dell'
Epitome Iuliani (potrebbe trattarsi del ms. Milano, Trivulziana, 688). Secondo l'A. riuscì poi a servirsi di un ms. dell'
Authenticum in greco (ms. Firenze, Laurenziana, Pl. 80. 4) nella stesura del II libro dei
Parerga. Il quarto capitolo (alle pp. 759-930) fornisce un elenco delle opere redatte dall'Alciato (tra 1516 al 1550) con dettagliate informazioni su contenuti, fonti, cronologia e luogo di stesura. Corredano il volume gli indici dei nomi, luoghi e cose notevoli (alle pp. 931-1072), delle fonti (alle pp. 1073-94), delle epigrafi (alle pp. 1095-9) e dei manoscritti (alle pp. 1101-3). (Michele De Lazzer)
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