Attraverso una puntuale analisi della storia della tradizione dell'opera, il saggio ricostruisce la fortuna rinascimentale e moderna del
De rebus antiquis memorabilibus basilice S. Petri Romae di Maffeo Vegio, che nella critica moderna ha goduto di particolare successo in virtù di un interesse tutto concentrato sulla sua valenza antiquaria di testimonianza autorevole sulla basilica di San Pietro prima del rifacimento inagurato da Niccolò V, senza però che mai si sia offerta una lettura organica delle valenze letterarie ed ideologiche del testo. L'opera ebbe una scarsissima fortuna quattrocentesca, tanto che se ne conserva per quel periodo un unico testimone, il Vat. Ottob. lat. 1863, raccolta di opere storiografiche messa insieme da Giovanni Tortelli. Il
De rebus antiquis vide un fiorire dell'interesse nei suoi confronti negli anni del concilio di Trento, forse per interessamento del cardinale Marcello Cervini che potrebbe averne colto le potenzialità come strumento atto a sostenere l'esigenza di rafforzamento del primato papale. In quegli anni lo
scriptor della Biblioteca Vaticana Ferdinando Ruano ne realizzò ben cinque copie, una delle quali, la più dimessa (Vat. Arch. Cap. S. Pietro G 12), fu alla base delle numerose letture che l'opera ebbe nel corso del Cinquecento da parte di studiosi ed eruditi legati alla basilica vaticana, i quali videro nelle pagine del Vegio soprattutto un'autorevole fonte antiquaria. Ampio spazio è dedicato alla lettura e all'utilizzo del
De rebus antiquis memorabilibus da parte di Onofrio Panvinio, che ne usò abbondantemente per la composizione del
De rebus antiquis memorabilibus et praestantia basilicae sancti Petri apostolorum principis libri septem (1560). Si ricorda poi la presenza di un testimone del
De rebus antiquis tra i libri di Cristina di Svezia, dono romano alla sovrana. Come nel Cinquecento, il dono era presumibilmente indotto dal riconoscimento nel testo del Vegio della sua valenza di strumento ideologico di esaltazione della centralità del pontefice romano. L'articolo si chiude con una descrizione accurata dei 19 testimoni dell'opera noti all'A. (sette dei quali segnalati per la prima volta nella
recensio del
De rebus antiquis memorabilibus). Si tratta dei manoscritti: Antwerpen, Museum Plantin-Moretus, M 49 (sec. XVI); Catania, Bibl. Riunite Civica e Ursino-Recupero, Fondo Civico B 20 (secc. XVI-XVII) e Fondo Civico B 65 (sec. XVIII); Madrid, BN, 8575 (
olim X 211) (sec. XVI); Milano, Braidense, AF XII 25 (sec. XVI); Roma, Casanatense, 4900 (sec. XVII); Vallicelliana, Allacci CXII 17 + Allacci CXVIII 34 (sec. XVII); Toledo, Archívo y Bibl. Capítulares, 25-50 (1665); Vat. Archivio Cap. S. Pietro G 12 (sec. XVI); Vat. Barb. lat. 2570 (
olim XXXIII 90) (1544); Vat. Chig. G III 76 (sec. XVI); Vat. Ottob. lat. 731 (
post 1653); Vat. Ottob. lat. 751 (ca. 1540); Vat. Ottob. lat. 1863 (1438-1466);
Vat.
Reg. lat. 794 (sec. XVII); Vat. lat. 3750 (1543); Vat. lat. 8266 (sec. XVII); Vat. lat. 8905 (secc. XVI-XIX).
Riduci