Monografia dedicata alla pervasività della Bibbia (e al ruolo della
Glossa ordinaria dal XII secolo), chiave di lettura del mondo in tutto il medioevo e in tutti i suoi aspetti (anche politici) e qui considerata nello specifico delle trasformazioni e dei cambiamenti del XII secolo L'attenzione è incentrata in particolare sulla corte plantageneta (e ai luoghi a essa collegati tramite chierici e intellettuali, Bologna e Parigi) e sull'epistolografia del secolo XII, ricca di riferimenti e citazioni biblici che denunciano l'effettiva conoscenza e ricorso, pratico e/o retorico, all'
auctoritas del testo sacro in tutti gli aspetti della vita. La prima parte del volume è dedicata all'analisi dello scopo della presenza della Bibbia all'interno di una lettera, generalmente non dedicata all'esegesi, e alla possibilità del suo uso strumentale e politico (in particolare per quel che concerne il caso Becket), la seconda parte alla considerazione dell'autorità giuridica della Bibbia stessa inelazione al diritto canonico. Nell'introduzione l'A. ricostruisce il contesto storico dell'Inghilterra dalla seconda metà dell'XI secolo, dalla conquista normanna alla costituzione di forti legami con il continente (e in particolare con la Francia), alla problematica, stretta interazione tra corte e chiesa (significative in merito sono le lettere di Arnolfo di Lisieux) in merito all'attribuzione delle sedi episcopali, alla fondazione di monasteri, a decisioni sinodali; interazione che culmina con la vicenda di Tommaso e il suo conflitto con Enrico II (oltre alla
Vita, si fa riferimento alle epistole di Giovanni di Salisbury). Fondamentale è la testimonianza del periodo che emerge dall'epistolografia (la cui produzione è eccezionale in questo secolo, non solo in Inghilterra), da Lanfranco di Canterbury a Anselmo di Canterbury, da Erberto di Losinga a Osberto di Clare, da Gilberto Foliot ad Arnolfo di Lisieux, a Giovanni di Salisbury, da David di Londra a Erberto di Bosham, da Pietro di Celle a Stefano de Tournai, alle problematiche lettere di Pietro di Blois; significative sono anche le testimonianze dei miracoli attribuiti a Tommaso Becket, raccolti da Guglielmo di Canterbury, e i silenzi determinati dalla perdita della corrispondenza di Elredo di Rievaulx, Adamo di Evesham, Roger di Worchester. Le diverse raccolte epistolari sono interdipendenti e si intrecciano con un corpus di lettere di Becket proveniente da Canterbury (costituito da Alano di Tewkesbury e Giovanni di Salisbury), integrato dal «groupe Foliot» (costituito appunto a partire da un manoscritto oxoniense di Gilberto Foliot) e dalla raccolta di epistole del 1201-1205 del manoscritto London, Lambeth Libr., 415 (una trascrizione è il London, BL, Harley 788), note come
Epistolae Cantuarienses. Strettamente interrelata con la liturgia e la predicazione (si vedano Ghiberto di Nogent con il
Liber quo ordine sermo fieri debeat, Alano di Lilla, i sermoni di Arnolfo di Lisieux, Bernardo di Chiaravalle ripreso da Tommaso Becket), mediata dalla tradizione patristica (Origene,
In librum Iudicum, ripreso da Gilberto Foliot, Agostino ripreso da Becket e Arnolfo di Lisieux, Gregorio e Paterio, Beda, Isidoro e Rabano ripresi da Giovanni di Salisbury), la Bibbia sviluppa nuove modalità di diffusione e di esegesi nel passaggio dall'insegnamento monastico a quello scolastico dal XII secolo (si pensi alla
Glossa, posseduta anche da Becket e solo in parte da Giovanni di Salisbury), ma viene citata in base alle finalità pratiche e allo stile personale dei diversi autori, non tanto in relazione alla loro formazione (si pensi a Gilberto Foliot, Giovanni di Salisbury, Pietro di Blois, Pietro di Celle) quanto alla loro capacità di appropriarsi delle parole dello stesso testo sacro (si pensi a Odone di Canterbury) e di citarle opportunamente in un contesto politico sociale (si pensi al lessico bellico utilizzato da Gilberto Foliot). L'A. esamina dunque l'insieme delle epistole legate al contesto storico politico inglese del XII secolo per rintracciare in esse le modalità della presenza della Sacra Scrittura: la Bibbia è ampiamente citata per lo più senza riferimenti espliciti, o solo discretamente allusa; la citazione può essere precisa, riformulata o solo evocata, spesso esplicitata per un destinatario laico (l'A. discute anche l'effettivo grado di istruzione biblica di Becket alla luce delle esplicitazioni presenti in epistole di Giovanni di Salisbury a lui inviate), ma anche per ridondanza di
auctoritas per il clero stesso. La stessa riformulazione dell'espressione biblica va considerata nel suo grado di errore o di riadattamento voluto. L'A. considera quindi il diverso ricorso alle Scritture da parte di autori quali Arnolfo di Lisieux, i monaci del Corpus Christi di Canterbury (nelle citate
Epistolae Cantuarienses), Alano di Tewkesbury, Gilberto Foliot, Giovanni di Salisbury, Tommaso Becket, e l'eventuale ruolo delle
artes dictandi, che stabiliscono modelli retorici, stilistici e formali, ma non condizionano la pratica della citazione, che si rivela eterogenea (si noti l'esempio del manoscritto München, BSB, Clm 19411, di intento didattico, contenente anche una raccolta epistolare modello caratterizzata da scarsi riferimenti biblici nonostante il destinatario monastico - l'abbazia di Tergensee). La funzione politica, sociale o di circostanza (sovente specchio di rapporti interpersonali) delle epistole condiziona la loro circolazione e il ricorso alle citazioni scritturistiche; il corpus epistolario esaminato non si presta a una riflessione esegetica, benché lasci trapelare riflessioni ermeneutiche proprie dei diversi autori e si arricchisca di exempla biblici, di virtuosismi esegetici e retorici. La Bibbia diventa quindi anche strumento politico, soprattutto per quel che concerne il caso Becket, nell'assimilazione di Becket stesso - vivente - a Cristo, nella rappresentazione del diavolo e nella tendenza al profetismo (in particolare, in Giovanni di Salisbury), nel rischio di manipolazione che la Scrittura stessa poteva subire a opera di
litterati che agivano per interesse personale, lontani dalla vera
sapientia (si pensi al caso di Roberto di Melun) e ispirati dal maligno. Nella seconda parte della monografia l'A. evidenzia come il caso Becket consenta di istituire uno stretto legame tra Bibbia e autorità giuridica, radicata nel contesto del diritto canonico e nel ricorso ai testi giuridici grazianei. In particolare si rintracciano nelle epistole di Becket i richiami al
Decretum e alle sue fonti, ricordando l'interrelazione tra Scritture e collezioni canoniche e l'affermazione della Bibbia come fonte del diritto stesso (anche nell'esempio specifico di Gilberto Foliot) e come
lex divina strictu sensu. È la natura giuridica del conflitto tra Becket e il sovrano dunque a indurre al ricorso alla Scrittura, strumento (anche lessicale) nella distinzione tra
iustitia e
ius e nella considerazione (nel caso specifico dell'esilio) della fallacità delle istituzioni umane e religiose, della tendenziosità del giudizio regale e della corruzione della Curia (come nell'esempio di Guglielmo di Pavia). Il richiamo al Giudizio e alla vendetta divini imminenti si esplica tra citazioni testuali bibliche e interpretazioni in chiave agiografica di Becket
in vivo; il contrasto tra l'ira del sovrano e il
furor Dei si risolve nel rifiuto della realtà sociale e politica e nell'estremismo radicale criticato dagli avversari di Becket. Emblematiche sono le figure da un lato di Gilberto Foliot, pragmatica e radicata nella realtà sociale e politica del tempo, e dall'altro dei monaci di Canterbury, che sostanziano la loro opposizione a Baldovino di Forda con il ricorso funzionale alla figura e alle epistole del loro martire, piuttosto che alla Bibbia stessa. L'epistolografia del XII secolo dimostra quindi il ricorso consapevole alla Bibbia, in funzione retorica e strumentale, politica ed escatologica, volta a interpretare originalmente una situazione di conflitto politico e giuridico in chiave morale e teologica. (Valeria Mattaloni)
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