Il volume è dedicato alle cronache e
Historiae della Penisola Iberica dalla metà dell'VIII alla metà del XIII secolo, all'ideale di unità politica e di sovranità e all'evoluzione storiografica ad esse sotteso. Nell'introduzione l'A. sostiene la prospettiva escatologica delle narrazioni iberiche a seguito dell'invasione araba, la coesione cristiana andalusa, la percezione dell'eredità visigota nella storiografia mozarabica e asturo-leonese, e definisce il limite cronologico dell'indagine (compresa tra l'
Historia Gothorum, Vandalorum, Sueborum di Isidoro e l'
Historia de rebus Hispaniae di Rodrigo Jiménez de Rada), concernente i testi latini e debitrice dell'approccio storiografico del vescovo Isidoro, chiarendo inoltre la terminologia fondamentale del volume stesso. Nel primo capitolo si considera lo scarso peso storiografico delle cronache latine dall'VIII all'XI secolo, neglette dalla filologia novecentesca a favore della produzione vernacolare (e della cronachistica del XII-XIII secolo, debitrice delle tradizioni in vernacolo) e invece fondamentali per la ricostruzione della storia della Penisola dopo i Visigoti: si illustrano quindi le posizioni della critica moderna e si contesta la presunta assenza di produzione retorica e scolastica, che ha portato a ritenere povera e inferiore alla classicità la storiografia spagnola tardo-antica e altomedievale (si ricordano Agostino, Eusebio, Orosio, Giovanni di Biclaro, Isidoro, consci della rilevanza della produzione storiografica, e il declino scolastico lamentato dagli storiografi successivi). Nel secondo capitolo si indagano le cronache del 741 (la
Chronica Byzantia-Arabica, considerata continuazione della narrazione di Isidoro o di Giovanni di Biclaro) e del 754 (la
Chronica Muzarabica o
Continuatio Isidoriana Hispana, di complessa tradizione): l'A. discute le possibili fonti e composizione, la ricchezza di eventi arabi e bizantini che suggerirebbero una prospettiva non più ibernico-centrica e vigisotico-celebrativa, quanto piuttosto integrativa, che risentirebbe dei contatti della Spagna con il Mediterraneo e di un'interpretazione escatologico-apocalittica (e non politica) dell'invasione musulmana, debitrice forse delle tradizioni copte e siriache. Il terzo capitolo è dedicato alla produzione agiografica di Cordoba, in particolare al
Documentum martyriale, al
Memoriale sanctorum e all'
Apologeticus martyrum di Eulogio: pur manifestando il suo debito nei confronti della tradizione martiriale (dal
Peristephanon al
De viris illustribus isidoriano), essa, insieme all'
Indiculus luminosus e alla
Vita Eulogii di Paolo Alvaro, alla
Translatio sanctorum martyrum Georgii monachi, Aurelii et Nathaliae ex urbe Cordoba Parisios di Aimone e alla
Passio Pelagii, attesta i cambiamenti sociali e politici dell'al-Andalus alla metà del IX secolo e la tensione all'unità dei cristiani (minoranza minacciata dalle conversioni dei dhimmi nel Mediterraneo occidentale quanto nell'orientale) e contribuisce alla creazione di un ideale politico di legittimazione e coesione iberica e leonese in particolare. Nel quarto capitolo si indagano i
Chronica Albeldensia (nel
Vigilanus El Escorial, Bibl. S. Lorenzo, d.I.2) e la
Chronica Alphonsi III (nelle due redazioni
Rotensis e
ad Sebastianum), attestanti il consolidamento politico-ideologico delle sovranità di León e Castiglia che l'A. ritiene radicato nel diritto: senza escludere infatti la continuità con la tradizione visigota e asturiana (si veda la sezione mozarabica contenuta nei
Chronica Albeldensia), l'interesse storiografico del secolo X pare rivolto all'aspetto politico, bellico e civile, e alla legittimità monarchica fondata sulla
Lex Wisigothorum. Il quinto capitolo è dedicato invece alla storiografia leonese, in particolare alla
Chronica di Sampiro confluita nel
Chronicon regum Legionensium di Pelagio e nell'
Historia Silensis, e alla
Chronica Naierensis: la guerra contro i musulmani risulterebbe inizialmente, secondo l'A., una minaccia tra le tante alla sovranità e solo l'influenza dei movimenti cluniacense e crociato indurrebbe a una progressiva adesione all'ideologia della Reconquista, nella coincidenza di
bellum iustum e
sanctum e nell'affermazione della giurisdizione papale sulla penisola. Nel sesto capitolo infine si esamina l'
Historia de rebus Hispaniae di Rodrigo Jiménez quale espressione della genesi della monarchia castigliana radicata nella preminenza ecclesiastica di Toledo: in essa l'A. evidenzia lo sforzo di riconciliazione di unità e diversità, intrinseche nella storia della Penisola Iberica, e l'influenza del pensiero neoplatonico, determinato dalle traduzioni filosofiche dall'arabo (Averroè, i commentatori di Aristotele, Maimonide tra gli altri), elementi tutti che hanno condizionato l'interpretazione moderna di un'identità nazionale spagnola guidata dalla Castiglia ed erede dell'antico regno goto. Il volume è corredato dalla bibliografia (pp. 267-74) e dall'indice (pp. 275-86). (Valeria Mattaloni)
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